sabato 30 marzo 2024

I conti correnti invisibili: cosa sono e perché sono importanti

La prosperità è uno stato di benessere, di ricchezza e di successo, che si manifesta in tutti gli ambiti della vita: personale, professionale, relazionale, spirituale, ecc. La prosperità non è solo una questione di denaro, ma di risorse, di opportunità, di gratitudine e di felicità. La prosperità non è qualcosa che si ottiene per caso, ma che si costruisce con consapevolezza, impegno e strategia.
Per generare una solida e duratura prosperità, una persona deve gestire in modo efficace i propri conti correnti, sia quelli visibili che quelli invisibili. Cosa sono questi conti correnti? E qual è il loro ruolo per generare prosperità? Vediamolo in questo articolo.

I conti correnti visibili
Sono quelli che riguardano le entrate e le uscite monetarie di una persona, cioè i suoi redditi e le sue spese. Questi conti correnti sono visibili perché sono facilmente misurabili, tracciabili e controllabili. I conti correnti visibili influenzano la prosperità di una persona, perché determinano il suo livello di liquidità, di risparmio e di investimento. Per gestire in modo efficace i conti correnti visibili, una persona deve seguire alcune regole, come:
Bilanciare le entrate e le uscite: una persona deve cercare di avere delle entrate superiori alle uscite, cioè di spendere meno di quanto guadagna, per evitare di indebitarsi e di compromettere il suo futuro finanziario. Per bilanciare le entrate e le uscite, una persona deve monitorare i suoi flussi di cassa, usando strumenti come il budget, il conto corrente, l’app, ecc. 
Aumentare le entrate: una persona deve cercare di aumentare le sue entrate, cioè di guadagnare di più, per migliorare il suo tenore di vita e per creare delle opportunità di crescita. Per aumentare le entrate, una persona deve sfruttare le sue potenzialità, usando strumenti come la formazione, la carriera, l’imprenditoria, ecc. Ad esempio, una persona può investire nella sua formazione, per acquisire nuove competenze, per ottenere una promozione, per cambiare lavoro o per avviare una propria attività.
Ottimizzare le uscite: una persona deve cercare di ottimizzare le sue uscite, cioè di spendere meglio, per soddisfare i suoi bisogni e i suoi desideri, senza sprechi o eccessi. Ad esempio, una persona può fare una lista delle cose che vuole comprare, confrontare i prezzi e le qualità, negoziare le condizioni e scegliere il prodotto o il servizio che offre il miglior rapporto qualità-prezzo.

I conti correnti invisibili
Sono quelli che riguardano le entrate e le uscite energetiche di una persona, cioè i suoi pensieri e le sue emozioni. Questi conti correnti sono invisibili perché sono difficilmente misurabili, tracciabili e controllabili. I conti correnti invisibili influenzano la prosperità di una persona, perché determinano il suo livello di vitalità, di equilibrio e di armonia. Per gestire in modo efficace i conti correnti invisibili, occorre, allo stesso modo:
Bilanciare le entrate e le uscite energetiche: una persona deve cercare di avere delle entrate energetiche superiori alle uscite energetiche, cioè di ricevere più energia di quanta ne consuma, per evitare di stancarsi e di stressarsi. Per bilanciare le entrate e le uscite energetiche, una persona deve monitorare i suoi flussi di energia, usando strumenti come il respiro, il corpo, la mente, ecc. Ad esempio, una persona può praticare il respiro profondo, per ossigenare le sue cellule, per rilassare il suo sistema nervoso e per aumentare la sua energia.
Aumentare le entrate energetiche: una persona deve cercare di aumentare le sue entrate energetiche, cioè di ricevere più energia, per migliorare il suo benessere e per creare delle opportunità di sviluppo. Per aumentare le entrate energetiche, una persona deve sfruttare le sue risorse, usando strumenti come la natura, la relazione, la passione, ecc. Ad esempio, una persona può connettersi con la natura, per assorbire la sua energia vitale, per armonizzare il suo ritmo biologico e per stimolare la sua creatività.
Ottimizzare le uscite energetiche: una persona deve cercare di ottimizzare le sue uscite energetiche, cioè di usare meglio la sua energia, per soddisfare i suoi bisogni e i suoi desideri, senza dispersioni o conflitti. Per ottimizzare le uscite energetiche, una persona deve valutare le sue scelte, usando strumenti come l’intenzione, l’attenzione, l’azione, ecc. Ad esempio, una persona può impostare una chiara intenzione, per focalizzare la sua energia su un obiettivo, per prestare attenzione ai segnali e per agire in modo efficace e coerente.

Questo processo richiede consapevolezza, impegno e strategia, ma può portare a dei benefici enormi per la vita di una persona. La prosperità è possibile, basta saperla fare.

venerdì 29 marzo 2024

Perché devi fidarti del tuo istinto e non lasciarti influenzare dalle opinioni altrui

Ti è mai capitato di avere una sensazione, una voce interiore, una spinta che ti suggeriva cosa fare o cosa evitare, ma di non ascoltarla perché ti sembrava irrazionale, impulsiva, ingiustificata? Ti sei mai pentito di aver ignorato il tuo istinto e di aver seguito invece le opinioni altrui, magari per paura, per senso di dovere, per conformismo? Se la risposta è sì, allora sai quanto sia importante fidarti del tuo istinto e non lasciarti influenzare dalle opinioni altrui. In questo articolo voglio parlarti di cos’è l’istinto, di come funziona, di perché è utile e di come puoi svilupparlo e ascoltarlo meglio.

Cos’è l’istinto
L’istinto, o intuizione, è la capacità di comprendere qualcosa istintivamente, senza la necessità di un ragionamento cosciente. È una forma di conoscenza immediata, diretta, non mediata da processi logici o razionali. L’istinto è una funzione del nostro cervello, in particolare del sistema limbico, la parte responsabile delle emozioni. L’istinto è legato alla nostra sopravvivenza, alla nostra sicurezza, al nostro benessere. L’istinto ci aiuta a riconoscere le opportunità, i pericoli, le minacce, le soluzioni e ci fa agire in modo rapido, efficace, adattivo.

Come funziona l’istinto
L’istinto funziona attraverso dei segnali che il nostro cervello ci invia, sotto forma di sensazioni, emozioni, immagini, parole. Questi segnali sono il risultato di una elaborazione inconscia di una grande quantità di informazioni che il nostro cervello riceve continuamente dall’ambiente, dal nostro corpo, dalle nostre esperienze passate. Il nostro cervello, infatti, è in grado di registrare, memorizzare, associare, confrontare, valutare, prevedere, molte più informazioni di quelle che siamo consapevoli. Queste informazioni vengono poi filtrate, selezionate, sintetizzate, e trasmesse alla nostra coscienza sotto forma di istinto. L’istinto, quindi, non è qualcosa di casuale, di magico, di irrazionale, ma è il frutto di una intelligenza profonda, di una saggezza innata, ma anche di una competenza acquisita.

Perché è utile l’istinto
L’istinto è utile perché ci permette di prendere decisioni migliori, più rapide, più coerenti con noi stessi. L’istinto, infatti, ci fa seguire la nostra voce interiore, il nostro vero sé, i nostri valori, i nostri obiettivi, i nostri sogni. L’istinto ci fa scegliere ciò che ci fa stare bene, ciò che ci rende felici, ciò che ci fa crescere. L’istinto ci fa evitare ciò che ci fa stare male, ciò che ci rende infelici, ciò che ci fa regredire. L’istinto ci fa essere più autentici, più spontanei, più creativi. L’istinto ci fa essere più in sintonia con noi stessi, con gli altri, con il mondo.

Come sviluppare e ascoltare meglio l’istinto
Sviluppare e ascoltare meglio l’istinto è possibile, ma richiede un allenamento, una pratica, una fiducia. Ecco alcuni consigli che puoi seguire per migliorare il tuo rapporto con il tuo istinto:
  • Presta attenzione ai tuoi segnali interni. Il tuo istinto si manifesta attraverso il tuo corpo, le tue emozioni, i tuoi pensieri. Impara a riconoscere i tuoi segnali interni, a interpretarli, a valorizzarli. Ascolta il tuo respiro, il tuo battito, il tuo stomaco, il tuo torace, la tua gola. Ascolta le tue sensazioni, i tuoi sentimenti, le tue emozioni. Ascolta le tue immagini, le tue parole, le tue idee. Non ignorarli, non reprimerli, non negarli. Sono il tuo linguaggio istintivo, il tuo codice personale, il tuo messaggio segreto.
  • Fai spazio al silenzio e alla solitudine. Il tuo istinto si fa sentire meglio quando sei in uno stato di calma, di relax, di meditazione. Fai spazio al silenzio e alla solitudine nella tua vita, per creare le condizioni ideali per ascoltare il tuo istinto. Dedica del tempo a te stesso, a stare con te stesso, a dialogare con te stesso. Elimina le distrazioni, i rumori, le interferenze. Crea un ambiente confortevole, accogliente, armonioso. Respira profondamente, rilassa i tuoi muscoli, svuota la tua mente. Apri il tuo cuore, il tuo spirito, la tua anima.
  • Sperimenta e verifica il tuo istinto. Il tuo istinto si rafforza e si affina con l’esperienza, con la verifica, con il feedback. Sperimenta e verifica il tuo istinto, mettendolo alla prova, confrontandolo con la realtà, valutandone i risultati. Segui il tuo istinto in piccole e grandi decisioni, in situazioni semplici e complesse, in ambiti diversi e vari. Confronta il tuo istinto con le opinioni altrui, con le informazioni disponibili, con le evidenze oggettive. Valuta il tuo istinto in termini di soddisfazione, di efficacia, di coerenza. Correggi il tuo istinto se necessario, impara dai tuoi errori, celebra i tuoi successi.
  • Fidati del tuo istinto. Il passo più importante e più difficile è fidarti del tuo istinto, senza dubbi, senza paure, senza rimpianti. Fidarti del tuo istinto significa credere in te stesso, nel tuo valore, nel tuo potenziale. Significa rispettare te stesso, le tue scelte, la tua vita. Significa amare te stesso, il tuo essere, il tuo divenire. Fidarti del tuo istinto significa vivere secondo la tua natura, secondo la tua vocazione, secondo la tua missione. Significa vivere con passione, con entusiasmo, con gioia.
Vivere seguendo il tuo istinto e non lasciandoti influenzare dalle opinioni altrui è un modo per vivere più autenticamente, più liberamente, più felicemente. È un modo per affermare la tua identità, la tua dignità, la tua felicità. È un modo per rispettare te stesso, il tuo tempo, la tua vita.
Non lasciare che le opinioni altrui ti limitino. E soprattutto non lasciare che le opinioni altrui ti impediscano di essere te stesso e di vivere come vuoi.
Fidati del tuo istinto. Vivi liberamente. 

giovedì 28 marzo 2024

Come Creare un Piano d’Azione Efficace

Un piano d’azione è uno strumento fondamentale per trasformare le tue aspirazioni in realtà. Che si tratti di obiettivi personali, professionali o di sviluppo, un piano d’azione ben strutturato può fornirti la chiarezza e la direzione necessarie per avanzare con determinazione. Ecco come puoi creare un piano d’azione efficace:

1. Definisci chiaramente i tuoi obiettivi
Prima di tutto, è essenziale avere una visione chiara di ciò che desideri raggiungere. Gli obiettivi dovrebbero essere specifici, misurabili, raggiungibili, rilevanti e temporali (SMART). Ad esempio, invece di dire “Voglio essere più felice”, potresti puntare a “Partecipare a un corso di mindfulness di 8 settimane entro i prossimi 3 mesi”.

2. Scomponi gli obiettivi in compiti gestibili
Una volta definiti gli obiettivi, suddividili in compiti più piccoli e gestibili. Questo rende il processo meno intimidatorio e ti permette di monitorare i progressi. Se il tuo obiettivo è cambiare carriera, i compiti potrebbero includere l’aggiornamento del CV, la rete di contatti professionali e la partecipazione a corsi di formazione.

3. Stabilisci priorità e scadenze
Determina quali compiti sono più urgenti o importanti e assegna loro una scadenza. Le scadenze fungono da motivatori e ti aiutano a rimanere concentrato e organizzato.

4. Identifica risorse e ostacoli
Rifletti sulle risorse di cui disponi, come tempo, denaro e competenze, e su come possono essere utilizzate per raggiungere i tuoi obiettivi. Allo stesso tempo, anticipa possibili ostacoli e pensa a come superarli.

5. Crea un sistema di monitoraggio
Tieni traccia dei tuoi progressi. Puoi utilizzare un diario, un’app o un foglio di calcolo per annotare i compiti completati e quelli rimanenti. Questo ti aiuterà a mantenere la motivazione e a fare aggiustamenti se necessario.

6. Valuta e adatta
Rivedi regolarmente il tuo piano d’azione. Se scopri che alcune strategie non funzionano come previsto, non esitare a fare cambiamenti. La flessibilità è cruciale per il successo a lungo termine.

7. Celebra i successi
Non dimenticare di celebrare i traguardi raggiunti, anche quelli piccoli. Questo rafforza la tua autostima e ti incoraggia a continuare verso il prossimo obiettivo.

Ricorda, un piano d’azione non è scolpito nella pietra ma si evolve insieme a te e ai tuoi obiettivi. Con impegno e adattabilità, il tuo piano d’azione sarà la mappa che ti guiderà verso il successo.


mercoledì 27 marzo 2024

Come gestire le tue giornate se lavori da casa


Lavorare da casa può sembrare un sogno, ma è anche una sfida. Come organizzare il tempo, lo spazio e la comunicazione con il team? Come mantenere la motivazione, la concentrazione e la salute mentale? Come bilanciare le esigenze personali e professionali? In questo articolo ti daremo alcuni consigli pratici per gestire al meglio le tue giornate se lavori da casa.
Stabilisci una routine mattutina. Alzati ad un’ora ragionevole, fai una doccia, vestiti in modo adeguato, fai colazione e preparati per la giornata lavorativa. Questo ti aiuterà a entrare in modalità lavoro e a segnare una distinzione tra il tempo libero e quello dedicato al lavoro1.
Crea uno spazio di lavoro confortevole e funzionale. Se puoi, scegli una stanza separata o un angolo tranquillo della casa dove puoi lavorare senza distrazioni. Assicurati di avere una scrivania, una sedia ergonomica, una buona illuminazione, una connessione internet stabile e tutti gli strumenti necessari per il tuo lavoro2.
Definisci gli obiettivi e le priorità della giornata. Ogni mattina, fai una lista delle cose da fare, suddividendole in base all’urgenza e all’importanza. Usa un calendario o un’agenda per tenere traccia dei tuoi impegni e delle scadenze. Cerca di essere realistico e flessibile, lasciando anche del tempo per eventuali imprevisti3.
Fissa degli orari di lavoro e di pausa. Lavorare da casa non significa lavorare tutto il giorno senza sosta. Al contrario, è importante stabilire degli orari di inizio e di fine della giornata lavorativa, rispettando il tuo orologio biologico e le tue esigenze personali. Inoltre, ricordati di fare delle pause regolari, almeno ogni ora, per staccare la spina, muoverti, bere, mangiare e riposare la vista4.
Comunica efficacemente con il tuo team. Lavorare da casa non significa lavorare da soli. Mantieni il contatto con i tuoi colleghi e i tuoi superiori, usando i mezzi di comunicazione più adatti a seconda della situazione. Ad esempio, puoi usare le email o le chat per domande o problemi semplici, e le videochiamate o le riunioni online per discussioni o progetti più complessi1. Sii chiaro, cortese e collaborativo, e rispetta le linee guida stabilite per la comunicazione a distanza5.
Prenditi cura della tua salute mentale. Lavorare da casa può essere fonte di stress, isolamento, ansia o noia. Per prevenire questi effetti negativi, cerca di mantenere uno stile di vita sano, praticando attività fisica, seguendo una dieta equilibrata, dormendo a sufficienza e dedicandoti a hobby o passioni che ti rilassano e ti gratificano. Inoltre, cerca di coltivare le tue relazioni sociali, sia con i tuoi colleghi che con i tuoi amici e familiari, sfruttando le opportunità offerte dalla tecnologia.
Goditi i vantaggi del lavoro da casa. Non dimenticarti che questa modalità di lavoro ha dei benefici, soprattutto se metti in pratica alcuni di questi consigli. Lavorando da casa, puoi risparmiare tempo e denaro, evitando i trasporti e i pasti fuori casa. Puoi anche avere più flessibilità e autonomia, adattando il tuo lavoro alle tue preferenze e alle tue necessità. Puoi infine migliorare la tua produttività e la tua creatività, lavorando in un ambiente più confortevole e personalizzato.

Spero che questi consigli ti siano utili per gestire le tue giornate se lavori da casa. Se hai bisogno di ulteriore aiuto o vuoi approfondire qualche argomento, non esitare a contattarmi. 

Ti auguro buon lavoro e buona vita!

martedì 26 marzo 2024

Cosa c'è di buono nel trauma

Spesso si dice che ciò che non ci uccide ci rende più forti. Ma è davvero così? Può un’esperienza traumatica, vissuta durante l’infanzia o l’età adulta, trasformarsi in un’opportunità di crescita e di sviluppo di capacità straordinarie?
La risposta è sì. Da un lato, sappiamo che i traumi possono avere effetti negativi e duraturi sulla salute fisica e mentale delle persone, provocando disturbi come depressione, ansia, stress post-traumatico, dipendenze, problemi relazionali e somatici. Dall’altro, però, esistono delle testimonianze e delle ricerche che suggeriscono che alcune persone, in seguito a un trauma, riescano a sviluppare delle risorse, delle competenze e delle abilità che prima non avevano, o che avevano in misura minore.
Questo fenomeno è stato definito come “crescita post-traumatica” (post-traumatic growth), e indica un processo di cambiamento positivo che si verifica in alcune persone dopo aver affrontato una situazione critica o avversa. La crescita post-traumatica non significa negare o minimizzare il dolore e la sofferenza causati dal trauma, ma piuttosto riconoscere e valorizzare gli aspetti positivi che ne sono derivati e che possono fare la differenza nella vita quotidiana delle persone. Ad esempio:
  • Empatia: si tratta della capacità di comprendere e condividere le emozioni, i pensieri e le esperienze degli altri, mettendosi nei loro panni. Chi ha subito un trauma può sviluppare una maggiore empatia, perché sa cosa significa soffrire e ha una maggiore sensibilità verso le difficoltà altrui. L’empatia è una qualità fondamentale per stabilire relazioni autentiche, profonde e solidali, e per aiutare gli altri a superare i loro problemi.
  • Creatività: si tratta della capacità di produrre idee originali, innovative e utili, applicando il pensiero divergente e la fantasia. Chi ha subito un trauma può sviluppare una maggiore creatività, perché ha dovuto affrontare situazioni impreviste e sfidanti, che richiedevano soluzioni nuove e alternative. La creatività è una qualità essenziale per adattarsi ai cambiamenti, per risolvere i problemi, per esprimere se stessi e per realizzare i propri sogni.
  • Intuizione: si tratta della capacità di percepire e capire qualcosa senza il bisogno di un ragionamento logico o di una spiegazione razionale, basandosi sul proprio istinto e sulla propria esperienza. Chi ha subito un trauma può sviluppare una maggiore intuizione, perché ha imparato a fidarsi della propria voce interiore e a cogliere i segnali sottili dell’ambiente. L’intuizione è una qualità preziosa per prendere decisioni rapide ed efficaci, per anticipare le opportunità, per evitare i pericoli e per seguire la propria vocazione.
  • Coraggio: si tratta della capacità di affrontare le proprie paure, i propri dubbi e i propri limiti, agendo in modo assertivo e determinato, pur consapevoli dei rischi e delle difficoltà. Chi ha subito un trauma può sviluppare un maggiore coraggio, perché ha dimostrato di poter superare le avversità e di poter affrontare le sfide. Il coraggio è una qualità indispensabile per uscire dalla propria zona di comfort, per osare di più, per cambiare ciò che non va e per difendere i propri valori.
Ovviamente, non tutti li possiedono, né li possiedono allo stesso modo. Dipende da molti fattori, come il tipo di trauma, la personalità, il contesto, il supporto, la terapia, la volontà. Ma il messaggio che vogliamo trasmettere è che un trauma non è necessariamente una condanna, ma può essere anche un’occasione di trasformazione e di crescita. Non si tratta di negare la realtà, ma di guardare oltre, di trovare il senso, di scoprire le risorse, di coltivare le potenzialità.
Se ci lasciamo schiacciare dal passato, non costruiremo mai un futuro degno di essere vissuto.

Test di personalità: quali sono, come si costruiscono e come si interpretano

I test di personalità costituiscono strumenti psicometrici mirati a misurare i tratti distintivi e stabili di una persona che influenzano il suo pensare, sentire e agire. La personalità, un costrutto psicologico complesso e multidimensionale, trova descrizione in diverse teorie, modelli e sistemi di classificazione, tra i quali spiccano la teoria dei tipi di Jung, la teoria dei fattori di Eysenck, la teoria dei tratti di Allport, la teoria dei bisogni di Murray, la teoria dei ruoli di Holland, la teoria dei valori di Schwartz e la teoria dei cinque grandi fattori (Big Five).
I test di personalità si basano su due principi fondamentali: la validità e l'affidabilità. La validità implica la verifica che il test misuri effettivamente il costrutto di personalità desiderato, confrontando i risultati con altre fonti informative quali osservazione, intervista, giudizio di esperti, ecc. L'affidabilità è la garanzia che il test fornisca risultati consistenti e riproducibili, controllando errori di misurazione, coerenza interna, stabilità temporale e concordanza tra valutatori.
I test di personalità si suddividono principalmente in due categorie: i test di personalità oggettivi e i test di personalità proiettivi. I test oggettivi si basano su domande o affermazioni alle quali il soggetto risponde con vero/falso, sì/no, d'accordo/non d'accordo, ecc. Sono più rapidi e facili da somministrare e correggere, ma possono essere influenzati dalla tendenza del soggetto a rispondere in modo socialmente desiderabile o a dissimulare i propri tratti. I test proiettivi utilizzano stimoli ambigui o neutri, come immagini, macchie, figure, a cui il soggetto attribuisce significato o interpreta. Sono più complessi e richiedono più tempo per la somministrazione e la correzione, ma possono rivelare aspetti inconsci o nascosti della personalità.
Tra i principali test di personalità oggettivi si annoverano il Minnesota Multiphasic Personality Inventory (MMPI), Il Neo Personality Inventory Revised (Neo-Pi-R), Il Sixteen Personality Factor Questionnaire (16pf), L'eysenck Personality Questionnaire (Epq), Il Myers-Briggs Type Indicator (Mbti), Il Rokeach Value Survey (Rvs), Il Portrait Values Questionnaire (Pvq), Ecc. Tra I Principali Test Di Personalità Proiettivi Spiccano Il Rorschach, Il Thematic Apperception Test (Tat), Il Rosenzweig Picture-Frustration Study (Pfs), L'holtzman Inkblot Technique (Hit), Il Draw-A-Person Test (Dap), Il House-Tree-Person Test (Htp), ecc.

I test di personalità trovano diverse applicazioni in ambito clinico, educativo e lavorativo. In ambito clinico, possono essere utilizzati per diagnosticare disturbi di personalità come il disturbo borderline, il disturbo narcisistico, il disturbo antisociale, il disturbo ossessivo-compulsivo, ecc. In ambito educativo, sono impiegati per valutare le preferenze e inclinazioni degli studenti, orientarli verso percorsi formativi adeguati, favorire lo sviluppo personale e prevenire il drop-out. In ambito lavorativo, sono utilizzati per selezionare candidati idonei, valutare competenze e prestazioni, promuovere la crescita professionale e prevenire il conflitto.
I test di personalità costituiscono strumenti psicometrici validi e affidabili, permettendo di misurare una delle dimensioni più importanti e influenti della personalità umana. Tuttavia, va considerato che non sono infallibili e non esauriscono la complessità della personalità, dipendente anche da fattori quali emozioni, motivazioni, esperienze, contesto, ecc. Pertanto, l'uso dei test di personalità richiede cautela e senso critico, considerando i limiti e le implicazioni etiche della misurazione psicologica.

lunedì 25 marzo 2024

Come Definire i tuoi obiettivi professionali

Gli obiettivi professionali sono le mete che ci proponiamo di raggiungere nel nostro percorso lavorativo. Essi ci aiutano a dare un senso e una direzione alla nostra carriera, a motivarci, a migliorare le nostre prestazioni e a valutare i nostri risultati. Tuttavia, non sempre è facile definire i propri obiettivi professionali in modo chiaro, realistico e coerente. Spesso ci lasciamo influenzare da fattori esterni, come le aspettative altrui, le mode, le pressioni, ecc. Oppure ci poniamo degli obiettivi troppo vaghi, ambiziosi, irrealizzabili o in contrasto tra loro. Questo può portare a frustrazione, insoddisfazione, stress o abbandono. Per questo, è importante seguire alcuni criteri per definire i propri obiettivi professionali in modo efficace. Ecco quali:
  • Sii specifico. Evita di formulare obiettivi troppo generici, come “voglio avere successo”, “voglio guadagnare di più”, “voglio cambiare lavoro”, ecc. Questi obiettivi sono difficili da misurare e da raggiungere, perché non indicano cosa vuoi fare esattamente, come, dove, quando e perché. Invece, cerca di essere il più preciso possibile, indicando tutti i dettagli rilevanti per il tuo obiettivo. Ad esempio, “voglio ottenere una promozione entro sei mesi”, “voglio aumentare il mio stipendio del 10% entro la fine dell’anno”, “voglio trasferirmi in un’altra città e trovare un lavoro nel settore della comunicazione entro tre mesi”, ecc.
  • Sii realistico. Non porti degli obiettivi troppo facili o troppo difficili, ma degli obiettivi che siano sfidanti ma raggiungibili. Gli obiettivi troppo facili non ti stimolano a dare il meglio di te e non ti fanno crescere. Gli obiettivi troppo difficili ti scoraggiano e ti fanno sentire inadeguato. Invece, cerca di trovare un equilibrio tra le tue aspirazioni e le tue capacità, tenendo conto delle tue risorse, dei tuoi limiti, del contesto e delle opportunità. Ad esempio, se vuoi diventare un manager, non ti basta desiderarlo, ma devi avere le competenze, l’esperienza, la formazione e le relazioni necessarie per raggiungere questo ruolo.
  • Sii coerente. Non porti degli obiettivi che siano in contraddizione tra loro o che vadano contro i tuoi valori, i tuoi interessi o la tua personalità. Questi obiettivi ti creano dei conflitti interni e ti impediscono di essere felice e soddisfatto. Invece, cerca di allineare i tuoi obiettivi con la tua visione, la tua missione e i tuoi principi. Chiediti cosa vuoi veramente, cosa ti appassiona, cosa ti rende unico, cosa ti fa sentire realizzato. Ad esempio, se ami viaggiare, non porti come obiettivo di lavorare in un ufficio fisso, ma cerca un lavoro che ti permetta di spostarti e di conoscere nuove realtà.
  • Sii flessibile. Non considerare i tuoi obiettivi come delle regole fisse e immutabili, ma come delle linee guida che possono essere adattate e modificate in base alle circostanze. Non fossilizzarti su un solo obiettivo, ma tieni aperte più opzioni e alternative. Non chiuderti alle novità, ma sii pronto a cogliere le occasioni e a sfruttare le potenzialità. Non temere i cambiamenti, ma accoglili come delle occasioni di apprendimento e di crescita. Ad esempio, se il tuo obiettivo è di lavorare in una determinata azienda, ma scopri che non ha delle posizioni aperte o che non corrisponde alle tue aspettative, non demordere, ma cerca altre aziende simili o altri settori che possano interessarti.
Definire i propri obiettivi professionali è un processo dinamico e continuo, che richiede impegno, riflessione e azione.
Seguendo questi criteri, potrai formulare degli obiettivi che siano in armonia con te stesso, con il tuo contesto e con il tuo futuro. Questo ti aiuterà a dare il meglio di te, a migliorare la tua carriera e a realizzare i tuoi sogni. 
Buon lavoro!

Affrontare il rifiuto in una relazione: come andare avanti

Il rifiuto da parte di un partner può essere una delle esperienze più dolorose, soprattutto quando si è investito molto nella relazione senza ricevere il riconoscimento del proprio valore. Questo tipo di rifiuto può scatenare una tempesta di emozioni, da tristezza profonda e senso di perdita a rabbia e confusione.

Come gestire il rifiuto
Accetta le tue emozioni: è naturale sentirsi feriti, arrabbiati o delusi. Riconoscere e accettare queste emozioni è il primo passo per elaborare il rifiuto.
Parlane con qualcuno: condividere i tuoi sentimenti con amici fidati, familiari o un terapeuta può aiutarti a sentirti meno solo e a ottenere una prospettiva esterna.
Prenditi del tempo per te: dedicare tempo alla cura personale e alle attività che ami può aiutare a rafforzare la tua autostima e il tuo benessere emotivo.
Rifletti sulla relazione: cerca di valutare la relazione in modo oggettivo. A volte, il rifiuto può rivelare incompatibilità o problemi che erano precedentemente ignorati.
Impara dalla situazione: anche se doloroso, il rifiuto può essere un’opportunità per crescere personalmente e capire meglio cosa desideri in una relazione futura.

Cosa fare dopo essere stati rifiutati
Riconosci il tuo valore: ricorda che il tuo valore non dipende dall’approvazione di un’altra persona. Sei prezioso per ciò che sei, non per ciò che gli altri pensano di te.
Esplora nuovi interessi: questo può essere il momento ideale per provare nuove attività o riprendere vecchi hobby che avevi messo da parte.
Amplia la tua rete sociale: incontrare nuove persone e stabilire nuove amicizie può aiutarti a ricostruire la tua vita sociale e a trovare sostegno.
Stabilisci obiettivi personali: focalizzati su obiettivi che ti motivano e che sono indipendenti dalla tua vita amorosa.
Considera la terapia: se trovi difficile superare il rifiuto, un professionista può offrirti strumenti e strategie per affrontare i tuoi sentimenti e andare avanti.
Il rifiuto è un’esperienza universale, ma non deve definire la tua vita. 
Con il tempo, il sostegno e l’impegno personale, è possibile superare il dolore e trovare un nuovo senso di scopo e felicità.

domenica 24 marzo 2024

La sindrome dell’impostore: cos'è e come affrontarla

La sindrome dell’impostore è una condizione psicologica in cui le persone si sentono inadeguate, incompetenti o fraudolente, nonostante abbiano delle prove oggettive del contrario. La sindrome dell’impostore può portare a una serie di conseguenze negative, come ansia, stress, depressione, bassa autostima, insicurezza, perfezionismo, procrastinazione, paura del giudizio o del fallimento.
Ma perché ci sentiamo stupidi? Quali sono le cause di questa sindrome? E soprattutto, come possiamo superarla e riconoscere il nostro valore e le nostre capacità? In questo articolo, cercheremo di rispondere a queste domande, e ti daremo alcuni consigli per liberarti dalla sindrome dell’impostore e vivere meglio.
Non esiste una sola causa della sindrome dell’impostore, ma piuttosto una combinazione di fattori che possono influenzare lo sviluppo di questa sindrome. Alcuni di questi fattori sono:
  • L’ambiente: a volte la sindrome dell’impostore si origina da un ambiente troppo competitivo, esigente o critico, in cui le persone sono valutate in base ai loro risultati, e non in base al loro sforzo. Questo può portare le persone a sentirsi costantemente sotto pressione, a confrontarsi con gli altri, a temere di non essere all’altezza, a minimizzare i propri successi o a attribuirli alla fortuna o all’aiuto altrui.
  • La personalità: a volte la sindrome dell’impostore è legata a dei tratti di personalità, come il bisogno di approvazione, la paura del rifiuto, l’insicurezza, il senso di responsabilità, l’ambizione o la modestia. Questi tratti possono spingere le persone a cercare di soddisfare le aspettative altrui, a non esprimere le proprie opinioni o i propri bisogni, a non accettare i propri errori o le proprie debolezze, a non riconoscere i propri meriti o le proprie qualità.
  • La cultura: a volte la sindrome dell’impostore è influenzata dalla cultura in cui viviamo, che ci propone dei modelli di intelligenza, di successo, di competenza, che sono spesso stereotipati, limitati o discriminatori. Questi modelli possono generare delle barriere sociali, che ci inducono a pensare di non appartenere a certi contesti, di non avere le giuste credenziali, di non avere le stesse opportunità, di non meritare le stesse ricompense.
Come superare la sindrome dell’impostore
La sindrome dell’impostore non è una realtà, ma una percezione distorta di se stessi. Per superare la sindrome dell’impostore, dobbiamo cambiare il nostro modo di pensare e di agire, e adottare un’attitudine più realistica, positiva e assertiva. Ecco alcuni suggerimenti per superare la sindrome dell’impostore:
  • Riconosci la tua sindrome: il primo passo per superare la sindrome dell’impostore è ammettere di averla, e di averne un problema. Puoi riconoscere la tua sindrome se ti rendi conto che hai una visione negativa o limitata di te stesso, che ti svaluti o ti sminuisci spesso, che ti confronti o ti competi con gli altri in modo malsano, che ti senti ansioso o stressato spesso, che eviti o rimandi le cose per paura di sbagliare, o che non accetti i complimenti o le lodi.
  • Modifica i tuoi pensieri: il secondo passo per superare la sindrome dell’impostore è modificare i tuoi pensieri, che sono spesso distorti, negativi o irrazionali. Puoi modificare i tuoi pensieri se ti rendi conto che la sindrome dell’impostore non è una verità, ma una credenza, che l’intelligenza non è una questione di QI, ma di apprendimento e di creatività, che la competenza non è una questione di titoli, ma di esperienza e di feedback, che il successo non è una questione di fortuna, ma di merito e di lavoro.
  • Cambia il tuo comportamento: il terzo passo per superare la sindrome dell’impostore è cambiare il tuo comportamento, che è spesso passivo, evitante o dipendente. Puoi cambiare il tuo comportamento se ti rendi conto che la sindrome dell’impostore non ti aiuta, ma ti ostacola, che puoi fare le cose bene, ma non necessariamente al meglio, che puoi chiedere aiuto, ma non delegare le tue responsabilità, che puoi esprimere le tue opinioni, ma non imporre le tue verità, che puoi celebrare i tuoi successi, ma non vantarti dei tuoi risultati.
Ricorda che sei una persona intelligente, capace e meritevole, e che hai il diritto di essere felice, anche se non sei infallibile. Non lasciarti intimidire dalle sfide, ma affrontale con curiosità e fiducia. Non smettere mai di credere in te stesso, e di cercare la tua felicità.

sabato 23 marzo 2024

Uno Stradivarius in metro: l’esperimento del violinista Joshua Bell

Cosa succede quando uno dei più grandi violinisti al mondo si esibisce in una stazione della metropolitana, travestito da musicista di strada, con un violino Stradivarius da 3 milioni di dollari? La risposta potrebbe sorprendervi.
Nel 2007, il giornale statunitense Washington Post ha organizzato un esperimento sociale per testare la capacità delle persone di apprezzare la bellezza in un contesto quotidiano e in un momento inopportuno. Il protagonista dell’esperimento è stato Joshua Bell, un virtuoso del violino che ha vinto numerosi premi e riconoscimenti internazionali, e che si è prestato a suonare alcuni brani di musica classica in una delle stazioni della metropolitana più affollate di Washington, all’ora di punta.
L’esperimento è stato videoregistrato da una telecamera nascosta e ha avuto dei risultati sorprendenti: su 1.097 persone che sono passate dalla stazione in 43 minuti, solo 7 si sono fermate brevemente ad ascoltarlo e solo una lo ha riconosciuto. Per la sua performance di quasi 45 minuti, Bell ha raccolto 32,17 dollari da 27 passanti, una cifra irrisoria se si pensa che i suoi concerti sono spesso sold out e che i biglietti possono costare centinaia di dollari.
Questo esperimento ha dimostrato che le persone tendono a ignorare la bellezza quando questa viene presentata in un modo inaspettato o fuori contesto. In altre parole, le persone guardano senza vedere e ascoltano senza sentire davvero. Probabilmente, ci lasciamo influenzare troppo dalle apparenze e siamo troppo distratti o presi dalle nostre preoccupazioni per notare un diamante grezzo nascosto nel fango.
L’esperimento del violinista in metropolitana ci invita a riflettere su come percepiamo la realtà e su come valutiamo le cose che ci circondano. Ci ricorda che la bellezza non dipende solo dall’oggetto, ma anche dal soggetto che la osserva e dal contesto in cui si trova. Ci suggerisce di essere più attenti e curiosi, di aprire gli occhi e le orecchie, di fermarci ogni tanto e di apprezzare le piccole meraviglie che la vita ci offre.

venerdì 22 marzo 2024

Come prendere decisioni senza farsi influenzare da sé stessi

Prendere decisioni difficili è una sfida che tutti noi affrontiamo nella vita. Che si tratti di scegliere un lavoro, una casa, un partner o una vacanza, vorremmo sempre fare la scelta migliore per noi e per i nostri cari. Tuttavia, spesso non siamo consapevoli di come il nostro processo decisionale possa essere influenzato da degli errori di ragionamento chiamati bias mentali.
I bias mentali sono delle distorsioni cognitive che ci portano a interpretare la realtà in modo non oggettivo, basandoci su pregiudizi, emozioni, aspettative o convinzioni personali. Questi bias possono interferire con la nostra capacità di valutare le informazioni in modo critico e razionale, portandoci a commettere errori o a perdere opportunità.
In questo articolo vedremo quali sono i principali bias mentali che possono influenzare le nostre decisioni difficili e come possiamo limitarne l’impatto usando delle strategie efficaci.

I principali bias mentali che influenzano le decisioni
Esistono molti tipi di bias mentali, ma qui ne elencheremo solo alcuni tra i più comuni e rilevanti per le decisioni difficili.
  • Bias della conferma: è la tendenza a cercare, interpretare e ricordare le informazioni in modo da confermare le nostre convinzioni o aspettative preesistenti, ignorando o minimizzando quelle che le contraddicono. Ad esempio, se crediamo che una determinata persona sia onesta, tenderemo a notare solo i suoi comportamenti positivi e a trascurare quelli negativi, anche se questi potrebbero essere più frequenti o gravi.
  • Bias dell’ancoraggio: è la tendenza a basare le nostre decisioni su un punto di riferimento iniziale, anche se questo punto di riferimento potrebbe non essere pertinente o accurato. Ad esempio, se vogliamo comprare una macchina e il venditore ci dice che il prezzo di listino è di 30.000 euro, ma ci fa uno sconto di 5.000 euro, potremmo pensare di aver fatto un affare, anche se il prezzo reale della macchina è inferiore a 25.000 euro.
  • Bias dell’autorità: è la tendenza a fidarci di persone o fonti che appaiono autorevoli o competenti, anche se queste potrebbero non essere affidabili o imparziali. Ad esempio, se un medico ci consiglia un certo farmaco, potremmo accettare il suo parere senza verificare le sue credenziali, le sue motivazioni o le possibili alternative.
  • Bias dell’effetto contrasto: è la tendenza a percepire le cose in modo diverso a seconda di ciò che le precede o le segue. Ad esempio, se proviamo due magliette, una di colore rosso e una di colore blu, potremmo preferire la maglietta blu perché ci sembra più bella in contrasto con la maglietta rossa, anche se in realtà non ci piace il blu.
  • Bias della perdita: è la tendenza a valutare le perdite più delle guadagni, anche se questi sono equivalenti. Ad esempio, se abbiamo investito 100 euro in un’azione e questa sale a 120 euro, potremmo essere tentati di vendere per incassare il profitto, ma se l’azione scende a 80 euro, potremmo essere restii a vendere per evitare la perdita, anche se il rischio di ulteriori perdite è alto.
Come limitare l’impatto dei bias mentali sulle decisioni
I bias mentali sono difficili da eliminare completamente, perché fanno parte del nostro modo di pensare e di agire. Tuttavia, possiamo cercare di ridurne l’influenza usando delle strategie che ci aiutano a essere più consapevoli e razionali. Ecco alcune di queste strategie:
  • Prendere consapevolezza dei bias mentali: il primo passo per limitare l’impatto dei bias mentali è riconoscerli e ammetterli. Possiamo informarci sui vari tipi di bias mentali e sui loro effetti, e cercare di identificarli nelle nostre decisioni passate e presenti. Possiamo anche chiedere il feedback di altre persone che potrebbero avere una visione più oggettiva o diversa dalla nostra.
  • Prendere tempo per riflettere: spesso le decisioni difficili richiedono tempo e attenzione, e non possono essere prese in modo impulsivo o emotivo. Possiamo cercare di evitare le situazioni di stress o di pressione che potrebbero indurci a fare scelte affrettate o sbagliate. Possiamo anche prendere delle pause per distanziarci dal problema e riprendere la riflessione con una mente più fresca e lucida.
  • Valutare attentamente le informazioni: prima di prendere una decisione, dobbiamo cercare di raccogliere e analizzare le informazioni più rilevanti e affidabili possibili. Possiamo usare fonti diverse e verificabili, confrontare i dati e le opinioni, e cercare di essere critici e imparziali. Possiamo anche usare dei criteri oggettivi per valutare le opzioni, come dei pro e contro, dei pesi e delle misure, o dei punteggi e delle classifiche.
  • Cercare il parere di altre persone: una delle migliori strategie per limitare l’impatto dei bias mentali è chiedere il consiglio o il supporto di altre persone che possano avere una prospettiva diversa o complementare alla nostra. Possiamo cercare persone che abbiano competenze, esperienze o interessi diversi dai nostri, e che siano disposte a darci un feedback onesto e costruttivo. Possiamo anche usare dei metodi di decisione collettiva, come il brainstorming, il voto o la discussione.
I bias mentali sono degli errori di ragionamento che possono influenzare le nostre decisioni in modo inconscio e fuorviante. Per prendere decisioni migliori, dobbiamo essere consapevoli di questi bias e usare delle strategie per limitarne l’impatto. Usando queste strategie, possiamo aumentare le nostre possibilità di fare scelte più razionali e soddisfacenti.

giovedì 21 marzo 2024

Hai una fobia?

La fobia è una forma di disturbo d'ansia caratterizzata da una paura intensa e irrazionale di un oggetto, una situazione o un'attività specifica. Le persone con fobie spesso vanno a grandi lunghezze per evitare ciò che temono, e questa paura e l'evitamento possono interferire significativamente con la loro vita quotidiana.

Comprendere le fobie
Le fobie non sono semplici paure. Sono paura e ansia intensificate al punto che possono essere debilitanti. Le fobie possono riguardare una vasta gamma di cose, tra cui animali (come serpenti o ragni), ambienti naturali (come altezze o acqua), procedure mediche (come iniezioni o interventi chirurgici), o situazioni specifiche (come volare in aereo o parlare in pubblico).
Esistono diversi tipi di fobie, tra cui:
  • 1. Fobie specifiche: Queste sono fobie legate a un oggetto o a una situazione specifica, come i ragni, i voli o le altezze.
  • 2. Agorafobia: Questa è la paura di essere in luoghi o situazioni da cui potrebbe essere difficile o imbarazzante fuggire, o in cui l'aiuto potrebbe non essere disponibile in caso di attacco di panico.
  • 3. Fobia sociale: Questa è la paura di essere umiliati, imbarazzati o giudicati dagli altri. Le persone con fobia sociale possono temere situazioni specifiche, come parlare in pubblico, o possono temere una vasta gamma di situazioni sociali.
Cause delle fobie
Le cause esatte delle fobie possono essere ricondotte a una combinazione di fattori genetici, chimici del cervello e ambientali. Inoltre, le esperienze traumatiche, come incidenti o traumi, possono scatenarle.

La buona notizia è che le fobie sono trattabili: molte persone con fobie sono in grado di eliminare i  sintomi con il trattamento appropriato. Le opzioni di trattamento includono la terapia cognitivo-comportamentale, che aiuta le persone a cambiare i modelli di pensiero e di comportamento che portano alla paura, e la mindfullnes che aiuta a gestire i sintomi dell'ansia.

Avere una fobia può essere difficile, ma con il trattamento e il sostegno, è possibile gestire i sintomi e vivere una vita piena e soddisfacente. Se hai una fobia, è importante parlare con un professionista della salute mentale che può aiutarti a capirla e a sviluppare un piano di trattamento. 
Ricorda, non c'è nulla di cui vergognarsi nel chiedere aiuto. 
Sei più forte di quanto pensi e sei capace di superare le tue paure.

mercoledì 20 marzo 2024

Perché ti senti diverso dagli altri?


Ti senti mai diverso dagli altri? Come se non appartenessi al gruppo o addirittura alla stessa specie? Se la risposta è sì, probabilmente soffri di quello che si chiama senso di estraneità.
Il senso di estraneità è una condizione psicologica in cui le persone si sentono isolate, escluse o emarginate, nonostante abbiano delle relazioni sociali. Il senso di estraneità può portare a una serie di conseguenze negative, come ansia, stress, depressione, bassa autostima, insoddisfazione, apatia, o ribellione.
Ma perché ci sentiamo diversi? Quali sono le cause di questo senso di estraneità? E soprattutto, come possiamo superarlo e riconoscere il nostro bisogno e il nostro diritto alla diversità? In questo articolo, cercheremo di rispondere a queste domande, e ti daremo alcuni consigli per liberarti dal senso di estraneità e vivere meglio.

Le cause del senso di estraneità
Non esiste una sola causa del senso di estraneità, ma piuttosto una combinazione di fattori che possono influenzare il modo in cui ci percepiamo e ci relazioniamo con gli altri. Alcuni di questi fattori sono:
  • L’ambiente: a volte il senso di estraneità si origina da un ambiente troppo omogeneo, conformista o intollerante, in cui le persone non hanno la possibilità di esprimere o di sviluppare la loro individualità. Questo può portarle a sentirsi soffocate e a pensare di non avere spazio, di non avere voce o di non avere diritti.
  • La personalità: a volte il senso di estraneità è legato a dei tratti di personalità, come il bisogno di autenticità, la paura della solitudine, l’insicurezza, il senso di colpa, la curiosità o la sensibilità. Questi tratti possono spingere le persone a cercare di differenziarsi dagli altri, a non adeguarsi alle norme, a non accettare i compromessi, a non riconoscere i benefici o le sfide della diversità.
  • La cultura: a volte il senso di estraneità è influenzato dalla cultura in cui viviamo, che ci propone dei modelli di identità, di appartenenza, di integrazione, che sono spesso rigidi, esclusivi o conflittuali. Questi modelli possono generare delle tensioni sociali, che ci inducono a pensare di non essere abbastanza simili, di non avere le giuste caratteristiche, di non avere le stesse possibilità, di non meritare le stesse attenzioni degli altri.

Come superare il senso di estraneità
Il senso di estraneità non è una realtà, ma una percezione distorta di se stessi e degli altri. Per superalo, dobbiamo cambiare il nostro modo di pensare e di agire, e adottare un’attitudine più aperta, positiva e inclusiva. Ecco alcuni suggerimenti:
  • Riconosci il tuo senso di estraneità: il primo passo per superare il senso di estraneità è ammettere di averlo. Puoi riconoscere il tuo senso di estraneità se ti rendi conto che hai una visione negativa o limitata di te stesso e degli altri, che ti isoli o ti chiudi spesso, che ti confronti o ti competi con gli altri in modo malsano, che ti senti insoddisfatto o frustrato spesso, che eviti o rimandi le situazioni sociali o le attività che ti espongono al contatto con gli altri, o che accetti delle relazioni superficiali o insoddisfacenti.
  • Modifica i tuoi pensieri: il secondo passo per superare il senso di estraneità è modificare i tuoi pensieri, che sono spesso distorti, negativi o irrazionali. Puoi modificare i tuoi pensieri se ti rendi conto che il senso di estraneità non è una verità, ma una credenza, che il tuo bisogno di diversità non è una minaccia, ma una risorsa, che il tuo diritto alla diversità non è una questione di merito, ma di esistenza, che la tua diversità non è una questione di isolamento, ma di arricchimento, che la tua diversità non è una questione di quantità, ma di qualità.
  • Cambia il tuo comportamento: il terzo passo per superare il senso di estraneità è cambiare il tuo comportamento:  puoi amare e essere amato, ma non rinunciare a te stesso.
Ricorda che sei una persona interessante, capace e meritevole, e che hai il diritto di essere felice, anche se non sei perfetto. Non lasciarti influenzare dalle apparenze, ma lasciati guidare dal tuo cuore. Non smettere mai di credere in te stesso, e di cercare la tua felicità.

martedì 19 marzo 2024

Still Face: cosa rivela l’esperimento di Tronick

L’interazione tra genitori e figli è uno degli aspetti più importanti per la crescita e il benessere dei bambini. Ma cosa succede quando questa interazione viene interrotta o alterata? Quali sono le conseguenze sullo sviluppo emotivo e cognitivo dei piccoli? Per rispondere a queste domande, possiamo fare riferimento a un famoso esperimento condotto dallo psicologo Ed Tronick negli anni '70, noto come il paradigma della still face.

Cos’è la still face?
La still face, che in italiano significa “faccia immobile”, è un esperimento che consiste nel filmare una normale interazione tra madre e bambino, in cui la madre partecipa attivamente al gioco con il suo figlio, utilizzando vocalizzi, contatto fisico ed espressioni facciali. Dopo un po’, però, la madre cambia improvvisamente il suo comportamento e assume un’espressione neutra e stabile, senza reagire alle sollecitazioni del bambino. Il bambino, a sua volta, cerca di richiamare l’attenzione della madre, aumentando i suoi tentativi di comunicazione fino al pianto disperato, ma senza ottenere risposta. Dopo alcuni minuti, la madre riprende a interagire normalmente con il bambino, che recupera il suo stato emotivo precedente.

Cosa dimostra l’esperimento?
L’esperimento della still face dimostra quanto sia importante per il bambino avere una madre (o un genitore) sensibile e responsiva, che sappia cogliere e rispondere ai suoi bisogni e alle sue emozioni. Quando questa interazione viene interrotta, il bambino prova stress, frustrazione, tristezza e rabbia, e cerca di ripristinare il contatto con la madre. Se non ci riesce, il bambino può arrivare a disinteressarsi dell’ambiente, a chiudersi in sé stesso o a mostrare segni di depressione o autismo. Questo significa che il bambino ha bisogno di una relazione sicura e stabile con il suo caregiver, che gli dia fiducia in se stesso e nel mondo.

Quali sono le implicazioni pratiche?
L’esperimento dello still face ci fa riflettere su come il nostro comportamento possa influenzare lo sviluppo dei nostri figli. Non si tratta di essere genitori perfetti, ma di essere consapevoli dell’importanza di comunicare con i nostri figli, non solo a parole, ma anche con il linguaggio del corpo, del viso e della voce. Questo vale soprattutto nei primi mesi e anni di vita, quando il bambino costruisce il suo attaccamento e la sua personalità. Ovviamente, ci sono momenti in cui non possiamo essere sempre presenti e disponibili per i nostri figli, per motivi di lavoro, di salute o di altro. In questi casi, è importante spiegare loro il motivo della nostra assenza, rassicurarli sul nostro amore e sul nostro ritorno, e cercare di mantenere una certa regolarità nelle nostre interazioni. Inoltre, è bene che i nostri figli abbiano anche altre figure di riferimento, come il padre, i nonni, gli zii, gli amici, che possano offrire loro sostegno e affetto.

lunedì 18 marzo 2024

Test di personalità: cos’è l'MBTI e come funziona

Il Myers-Briggs Type Indicator (MBTI) è uno strumento di valutazione della personalità basato sulla teoria dei tipi psicologici di Carl Gustav Jung. Fu sviluppato negli anni '40 da Katharine Cook Briggs e sua figlia Isabel Briggs Myers, due ricercatrici americane appassionate di psicologia.
L’obiettivo del MBTI è di aiutare le persone a conoscere meglio se stesse e gli altri, identificando le loro preferenze naturali in quattro aree fondamentali della personalità:
  • Come si orientano e ricevono energia: focalizzandosi sul mondo esterno, interagendo con le persone e agendo (Estroversione), o focalizzandosi sul mondo interno, riflettendo su idee, ricordi ed esperienze (Introversione).
  • Come elaborano le informazioni: basandosi su ciò che percepiscono con i cinque sensi (Sensazione), o cercando il quadro generale e i collegamenti tra i dati (Intuizione).
  • Come prendono le decisioni: analizzando logicamente la situazione (Pensiero), o considerando ciò che è importante per le persone coinvolte (Sentimento).
  • Come si rapportano al mondo esterno: in modo pianificato e ordinato (Giudizio), o in modo flessibile e spontaneo (Percezione).
Le preferenze in queste quattro aree si combinano in 16 tipi di personalità distinti, rappresentati da quattro lettere (ad esempio, ENFP, ISTJ, etc.). Ogni tipo ha dei punti di forza e di debolezza, dei modi di apprendere, di comunicare, di lavorare e di relazionarsi con gli altri.
Il MBTI non è un test di intelligenza, di abilità o di carattere. Non ci sono risposte giuste o sbagliate, né tipi migliori o peggiori. Si tratta di uno strumento per la crescita personale, che offre un linguaggio positivo per comprendere e valorizzare le differenze individuali.

Come si fa il test MBTI?
Per fare il test MBTI, bisogna rispondere a una serie di domande che riguardano le proprie preferenze, abitudini e comportamenti. Le domande sono formulate in modo da non essere ambigue o influenzate da fattori situazionali. Si consiglia di rispondere in modo sincero e spontaneo, senza pensare troppo o cercare di indovinare cosa sia meglio.
Il test MBTI può essere somministrato online o su carta, da un professionista certificato o da un sito web autorizzato. Il tempo necessario per completare il test varia da 15 a 30 minuti, a seconda della versione utilizzata. Al termine del test, si riceve un report che indica il proprio tipo di personalità e una spiegazione delle sue caratteristiche, dei suoi punti di forza e di sviluppo, e delle sue possibili applicazioni nella vita personale e professionale.

A cosa serve il test MBTI?
Il test MBTI serve a scoprire il proprio stile personale e a capire come esso influisce su molti aspetti della propria vita, come:
  • Il modo di apprendere, di insegnare e di studiare
  • Il modo di comunicare, di ascoltare e di esprimersi
  • Il modo di lavorare, di organizzare e di gestire il tempo
  • Il modo di relazionarsi, di collaborare e di risolvere i conflitti
  • Il modo di affrontare lo stress, il cambiamento e le sfide
  • Il modo di scegliere una carriera, un ruolo o un progetto
  • Il modo di sviluppare il proprio potenziale e la propria autostima
Il test MBTI può essere usato anche per migliorare le relazioni con gli altri, sia a livello personale che professionale. Conoscendo il proprio tipo e quello degli altri, si può:
Apprezzare le differenze e i punti di vista diversi
Adattare il proprio stile comunicativo e comportamentale
Creare un clima di fiducia e di rispetto reciproco
Favorire la cooperazione e la complementarità
Prevenire e gestire i conflitti e le incomprensioni
Sviluppare la creatività e l’innovazione

Quali sono le fonti e le critiche al test MBTI?
Il test MBTI si basa sulla teoria dei tipi psicologici di Jung, che fu pubblicata nel 1921 nel libro “Tipi psicologici”. Jung propose che esistessero due atteggiamenti fondamentali (estroversione e introversione) e quattro funzioni psichiche (sensazione, intuizione, pensiero e sentimento), che si combinavano in otto tipi psicologici. Jung non sviluppò un test per misurare i suoi tipi, ma si basò sull’osservazione clinica e sull’autoanalisi.
Briggs e Myers ampliarono la teoria di Jung, aggiungendo una quarta dimensione (giudizio e percezione) e creando i 16 tipi di personalità. Iniziarono a sviluppare il test MBTI negli anni '40, basandosi su studi empirici, interviste e questionari. Il test fu pubblicato per la prima volta nel 1962 e da allora è stato aggiornato e validato da numerosi studi e ricerche.
Il test MBTI è uno dei test di personalità più usati e conosciuti al mondo, con oltre 50 milioni di persone che lo hanno completato. È usato da molte organizzazioni, istituzioni, scuole e università, per scopi di sviluppo personale, orientamento, coaching, team building, leadership e altro. È disponibile in 29 lingue e in diverse versioni, adatte a diverse fasce d’età e contesti.
Il test MBTI ha anche ricevuto delle critiche e delle controversie, sia da parte di psicologi che di utenti. Alcune delle critiche più comuni sono:
  • Il test MBTI è troppo semplicistico e riduttivo, in quanto classifica le persone in 16 categorie fisse e non tiene conto della complessità e della variabilità della personalità umana.
  • Il test MBTI non è scientificamente valido e affidabile, in quanto non si basa su una teoria empiricamente dimostrata e non ha una coerenza interna e una stabilità temporale sufficienti. Inoltre, il test MBTI non ha una correlazione significativa con altri test di personalità o con misure di performance o di benessere.
  • Il test MBTI può essere usato in modo improprio o abusivo, in quanto può portare a stereotipi, pregiudizi, discriminazioni o manipolazioni. Inoltre, il test MBTI può influenzare negativamente l’autopercezione e l’autostima delle persone, se non viene interpretato e usato in modo corretto e responsabile.
Come interpretare e usare il test MBTI?
Per interpretare e usare il test MBTI in modo efficace e etico, è importante tenere presente alcuni principi e consigli:
  • Il test MBTI non misura la personalità, ma le preferenze. Le preferenze indicano il modo naturale e spontaneo di agire e di pensare, ma non sono determinanti o vincolanti. Le persone possono usare tutte le funzioni e gli atteggiamenti, a seconda delle situazioni e delle necessità.
  • Il test MBTI non valuta la personalità, ma la descrive. La descrizione del tipo di personalità non è un giudizio di valore, ma un’informazione utile per la comprensione di sé e degli altri. Non esistono tipi migliori o peggiori, ma solo tipi diversi, con dei punti di forza e di sviluppo.
  • Il test MBTI non predice la personalità, ma la suggerisce. Il suggerimento del tipo di personalità non è una verità assoluta, ma una possibilità da verificare e da confermare. La persona è l’unica a poter decidere se il tipo suggerito dal test corrisponde alla sua esperienza e alla sua identità.
  • Il test MBTI non limita la personalità, ma la arricchisce. Il test MBTI offre una visione dinamica e positiva della personalità, che incoraggia lo sviluppo e la crescita personale. Il test MBTI aiuta le persone a riconoscere e a valorizzare i propri talenti, a superare le proprie difficoltà, a esplorare le proprie potenzialità e a realizzare i propri obiettivi.
Il test MBTI serve a scoprire il proprio stile personale e a capire come esso influisce su molti aspetti della propria vita, come l’apprendimento, la comunicazione, il lavoro, le relazioni, le scelte e lo sviluppo personale.
Spero che questo articolo ti sia stato utile e interessante. Se vuoi approfondire il tema del test MBTI, ti consiglio di visitare il sito ufficiale: 

domenica 17 marzo 2024

Gli effetti negativi dei prank sui social media

I prank sono scherzi che vengono fatti su Internet, spesso tramite video, con lo scopo di divertire, sorprendere o provocare una reazione in chi li guarda o li subisce. Alcuni prank sono innocui e simpatici, ma altri possono essere molto pesanti e crudeli, mettendo a rischio la sicurezza, la dignità o la salute mentale delle vittime. Inoltre, alcuni prank possono spingere i ragazzi all’emulazione, inducendoli a ripetere gli stessi scherzi o a superarli in crudeltà, senza rendersi conto delle possibili conseguenze.
Quali sono gli effetti negativi dei prank sui social media? Vediamone alcuni:
  • Depressione e ansia: chi subisce un prank pesante può sentirsi umiliato, offeso, tradito o minacciato, provando sentimenti di tristezza, rabbia, paura o vergogna. Queste emozioni negative possono influire sul benessere psicologico della persona, causando stress, ansia o depressione. Anche chi guarda i prank può essere influenzato negativamente, soprattutto se si identifica con la vittima o se prova senso di colpa per aver riso di una situazione crudele.
  • Cyberbullismo: alcuni prank possono essere considerati forme di cyberbullismo, cioè di aggressione online verso una persona o un gruppo, con l’intento di danneggiarli o isolarli. Il cyberbullismo può avere effetti devastanti sulla salute mentale delle vittime, come bassa autostima, isolamento sociale, disturbi del sonno, disturbi alimentari, pensieri suicidi o tentativi di suicidio.
  • FOMO (paura di perdersi): alcuni prank possono generare la sensazione di FOMO, cioè la paura di perdersi qualcosa di importante o divertente che sta succedendo online. La FOMO può portare a una dipendenza dai social media, a una perdita di contatto con la realtà, a una riduzione della capacità di concentrazione e a una diminuzione della soddisfazione personale.
  • Aspettative irrealistiche: alcuni prank possono creare aspettative irrealistiche su ciò che è normale o desiderabile nella vita reale, come il successo, la bellezza, la ricchezza, l’amore o l’amicizia. Queste aspettative possono generare frustrazione, insoddisfazione, invidia o gelosia, compromettendo la felicità e l’autenticità delle persone.
  • Immagine corporea negativa: alcuni prank possono influenzare negativamente l’immagine corporea delle persone, cioè il modo in cui si percepiscono e si valutano fisicamente. Questo può accadere quando i prank si basano su stereotipi, pregiudizi, discriminazioni o body shaming, cioè la derisione o la critica del corpo altrui. L’immagine corporea negativa può portare a problemi di autostima, di relazione, di alimentazione o di salute.
  • Modelli di sonno malsani: alcuni prank possono alterare i modelli di sonno delle persone, sia perché le tengono sveglie fino a tarda ora per seguire le novità online, sia perché le disturbano con rumori, luci o movimenti. Il sonno è fondamentale per il benessere fisico e mentale delle persone, e la sua carenza può causare stanchezza, irritabilità, difficoltà di apprendimento, problemi di memoria, problemi di salute o problemi di sicurezza.
  • Dipendenza generale: alcuni prank possono creare una dipendenza generale dai social media, cioè una necessità compulsiva di usarli, di controllarli o di condividerli. La dipendenza dai social media può avere effetti negativi sulla salute mentale, come ansia, depressione, isolamento, insonnia, perdita di interesse o perdita di senso.
Come si può evitare o contrastare gli effetti negativi dei prank sui social media? Ecco alcuni consigli:
  • Usare i social media con moderazione e consapevolezza: limitare il tempo e la frequenza di utilizzo dei social media, scegliere con cura i contenuti da seguire o da condividere, riflettere sulle motivazioni e sulle emozioni che si provano usando i social media, distinguere tra realtà e finzione, tra informazione e manipolazione, tra divertimento e crudeltà.
  • Proteggere la propria privacy e la propria sicurezza: impostare le opzioni di privacy e di sicurezza dei propri profili e dei propri dispositivi, non condividere informazioni personali, sensibili o compromettenti, non accettare richieste di amicizia o di contatto da sconosciuti, non aprire link o file sospetti, non partecipare a sfide o a giochi pericolosi o illegali.
  • Rispettare se stessi e gli altri: non fare o non subire prank che possano offendere, umiliare, ferire o danneggiare se stessi o gli altri, non diffondere o non credere a falsità, a calunnie o a diffamazioni, non alimentare o non tollerare il cyberbullismo, il body shaming o altre forme di violenza online, denunciare o segnalare i comportamenti illeciti o inappropriati.
  • Cercare il supporto di persone fidate: parlare con amici, familiari, insegnanti o professionisti dei propri problemi, delle proprie paure, delle proprie emozioni, chiedere aiuto o consiglio quando si è vittime o testimoni di prank pesanti o di cyberbullismo, offrire sostegno o solidarietà a chi ne ha bisogno, condividere esperienze positive o negative sui social media.
  • Coltivare interessi e attività offline: dedicare tempo e attenzione a hobby, sport, arte, musica, lettura, studio, lavoro, volontariato, viaggi, natura, animali, relazioni reali, benessere fisico e mentale, sviluppo personale e spirituale, valori e ideali.
I prank sui social media possono essere divertenti e innocui, ma possono anche essere dannosi e pericolosi. Dipende da noi usare i social media in modo responsabile e rispettoso, per il nostro bene e per quello degli altri.

sabato 16 marzo 2024

Come fare a capire se hai l'ADHD (per adulti)

L’ADHD (disturbo da deficit di attenzione/iperattività) è un disturbo neurobiologico che si manifesta con difficoltà di attenzione, concentrazione, organizzazione, pianificazione, impulsività e iperattività. Spesso associato all’infanzia, l’ADHD può persistere anche in età adulta, causando problemi nella vita personale, lavorativa, sociale e affettiva.
Ma come fare a capire se si soffre di ADHD da adulti? Quali sono i sintomi e le conseguenze di questo disturbo? E soprattutto, quali sono le possibili soluzioni per affrontarlo?
Gli adulti affetti da ADHD possono manifestare i seguenti sintomi:
  • Mancanza di concentrazione: difficoltà a prestare attenzione in modo prolungato, a portare a termine i compiti, a seguire le conversazioni, a essere facilmente distratti da stimoli esterni o interni, oppure difficoltà nel distogliere la concentrazione da attività ritenute piacevoli.
  • Disorganizzazione: difficoltà a gestire il tempo, le priorità, gli impegni, la documentazione, il denaro, la casa, il lavoro.
  • Dimenticanza frequente: difficoltà a ricordare informazioni importanti, appuntamenti, scadenze, nomi, numeri, dove si sono lasciate le cose.
  • Atteggiamento impulsivo: tendenza a interrompere gli altri, a parlare senza riflettere, a prendere decisioni affrettate, a spendere troppo, a cambiare spesso idea, a cercare emozioni forti.
  • Iperattività: difficoltà a stare fermi, a rilassarsi, a dormire, a controllare l’ansia, la frustrazione, la noia, la rabbia.
  • Bassa autostima: sensazione di essere inadeguati, incapaci, falliti, colpevoli, criticati, incompresi, isolati.
Le conseguenze dell’ADHD negli adulti
L’ADHD negli adulti può avere delle ripercussioni negative su vari aspetti della vita, tra cui:
  • La vita lavorativa: gli adulti con ADHD possono avere difficoltà a mantenere un lavoro stabile, a rispettare le scadenze, a seguire le istruzioni, a collaborare con i colleghi, a gestire lo stress, a raggiungere i propri obiettivi.
  • La vita sociale: gli adulti con ADHD possono avere difficoltà a stabilire e mantenere relazioni amichevoli, a comunicare in modo efficace, a rispettare le regole sociali, a gestire i conflitti, a evitare comportamenti a rischio.
  • La vita affettiva: gli adulti con ADHD possono avere difficoltà a trovare e mantenere un partner, a esprimere i propri sentimenti, a soddisfare le aspettative dell’altro, a essere fedeli, a gestire la gelosia, a essere genitori responsabili.
  • La salute fisica e mentale: gli adulti con ADHD possono sperimentare problemi di salute legati allo stress, all’ansia, alla depressione, all’abuso di sostanze, all’obesità, al diabete, alle malattie cardiovascolari, al disturbo bipolare, al disturbo borderline di personalità.
Le soluzioni per l’ADHD negli adulti
L’ADHD negli adulti non è una condanna, ma una sfida che si può affrontare con l’aiuto di uno specialista della salute mentale, che può effettuare una diagnosi accurata e proporre un trattamento personalizzato. Il trattamento per l’ADHD negli adulti può includere:
  • La terapia psicologica: l’uso di tecniche cognitivo-comportamentali può aiutare a modificare i pensieri, le emozioni e i comportamenti disfunzionali legati all’ADHD, migliorando l’autostima, le abilità sociali, la gestione dello stress, la risoluzione dei problemi, la pianificazione degli obiettivi.
  • Il sostegno familiare e sociale: il coinvolgimento del partner, dei familiari, degli amici, dei colleghi può essere fondamentale per creare un ambiente favorevole, comprensivo, collaborativo, stimolante, che favorisca il benessere e la realizzazione della persona con ADHD.

Perché non ti difendi?

Ti sei mai trovato in una situazione in cui qualcuno ti ha fatto del male, fisicamente o psicologicamente, e tu non hai reagito? Ti sei sentito impotente, colpevole, frustrato o arrabbiato con te stesso? Ti sei chiesto perché non ti sei difeso?
Se la risposta è sì, sappi che non sei il solo. Molte persone, di fronte a un’aggressione, subiscono passivamente, senza opporre resistenza o difendersi. Questo comportamento, che può sembrare irrazionale o masochista, ha in realtà delle spiegazioni psicologiche che vale la pena conoscere.

Le cause della passività
Ci sono diversi fattori che possono influenzare la nostra capacità di difenderci in una situazione di conflitto. Alcuni di questi sono:
La paura: la paura è una reazione naturale e adattiva di fronte a una minaccia. Tuttavia, quando la paura è eccessiva o ingiustificata, può paralizzarci e impedirci di agire. La paura può essere legata al rischio di subire conseguenze negative, come violenza, rifiuto, umiliazione, perdita di affetto o stima, ecc. La paura può anche essere generata da credenze irrazionali, come il dovere di piacere a tutti, il bisogno di approvazione, la paura di sbagliare, ecc.
La bassa autostima: la bassa autostima è la valutazione negativa di sé, delle proprie capacità, dei propri meriti e dei propri diritti. Chi ha una bassa autostima tende a svalutarsi, a criticarsi, a sentirsi inferiore o inadeguato/a. Questo può portare a non riconoscere il proprio valore, a non esprimere le proprie opinioni, a non far valere le proprie esigenze, a non opporsi alle ingiustizie o agli abusi. Chi ha una bassa autostima può anche temere di perdere l’affetto o il rispetto degli altri se si difende, o di non meritare di essere trattato/a bene.
L’abitudine: l’abitudine è la tendenza a ripetere gli stessi comportamenti in modo automatico, senza riflettere o valutare le alternative. L’abitudine può essere il risultato di un’educazione repressiva, in cui si è imparato a obbedire, a non contraddire, a non protestare, a non esprimere le proprie emozioni. L’abitudine può anche essere il frutto di esperienze traumatiche, in cui si è subito violenza, abuso, manipolazione, o si è assistito a situazioni simili. In questi casi, la passività può essere vista come una strategia di sopravvivenza, per evitare ulteriori danni o punizioni.
La confusione: la confusione è lo stato di incertezza, dubbio, disorientamento, che impedisce di capire cosa sta succedendo, cosa si prova, cosa si vuole, cosa si deve fare. La confusione può essere provocata da situazioni ambigue, contraddittorie, inaspettate, che mettono in crisi le nostre aspettative, i nostri valori, i nostri schemi mentali. La confusione può anche essere indotta da persone che usano tecniche di manipolazione, come la negazione, la distorsione, la colpevolizzazione, la seduzione, ecc. In questi casi, la passività può essere una conseguenza della mancanza di chiarezza, di consapevolezza, di assertività.

Le conseguenze della passività
La passività, sebbene possa sembrare una soluzione facile o conveniente in alcune situazioni, ha delle conseguenze negative sia per chi la subisce che per chi la esercita:
Il danno: è la sofferenza che si subisce a causa dell’aggressione. Il danno può essere fisico, come ferite, malattie, dolori, ecc. Il danno può anche essere psicologico, come ansia, depressione, stress, trauma, ecc. Il danno può anche essere sociale, come isolamento, discriminazione, esclusione, ecc. Il danno può anche essere morale, come perdita di dignità, di rispetto, di fiducia, ecc.
La rabbia: la rabbia è l’emozione che si prova quando si percepisce un’ingiustizia, un’offesa, una violazione dei propri diritti o dei propri valori. La rabbia è una reazione naturale e sana, che ci spinge a difenderci, a reagire, a cambiare la situazione. Tuttavia, quando la rabbia non viene espressa o canalizzata in modo adeguato, può diventare tossica e dannosa. La rabbia può essere repressa, accumulata, trasformata in risentimento, odio, vendetta. La rabbia può anche essere proiettata, scaricata, sfogata su persone o oggetti innocenti o indifesi. La rabbia può anche essere auto-diretta, trasformata in autocritica, colpa, vergogna, autolesionismo.
La dipendenza: la dipendenza è la condizione di chi non riesce a gestire autonomamente la propria vita, le proprie scelte, i propri problemi, e si affida a qualcuno o qualcosa che lo/la controlla, lo/la domina, lo/la sfrutta. La dipendenza può essere materiale, come il bisogno di denaro, di beni, di servizi, ecc. La dipendenza può anche essere emotiva, come il bisogno di affetto, di attenzione, di approvazione, ecc. La dipendenza può anche essere psicologica, come il bisogno di sicurezza, di stabilità, di senso, ecc. La dipendenza può anche essere comportamentale, come il bisogno di seguire delle regole, dei rituali, delle abitudini, ecc.

Come uscire dalla passività
La passività non è una condanna: si può cambiare, se si vuole e se si sa come fare. Ci sono dei passi che si possono seguire per uscire dalla passività e diventare più attivi, più assertivi, più liberi:
Riconoscere la passività: il primo passo è prendere coscienza della propria passività, delle sue cause, delle sue conseguenze. Si tratta di analizzare le proprie esperienze, i propri comportamenti, i propri sentimenti, i propri pensieri, e capire in quali situazioni si è passivi, con chi, perché, come, cosa si prova, cosa si pensa, cosa si ottiene, cosa si perde. Si tratta anche di confrontarsi con le proprie paure, le proprie credenze, le proprie abitudini, e valutare se sono realistiche, razionali, funzionali, o se invece sono eccessive, irrazionali, disfunzionali.
Decidere di cambiare: il secondo passo è volere cambiare, motivarsi, impegnarsi. Si tratta di stabilire degli obiettivi, dei piani, delle strategie, per modificare la propria passività. Si tratta anche di cercare delle risorse, dei supporti, degli aiuti, che possano facilitare il cambiamento. Si tratta soprattutto di credere in se stessi, nella propria capacità, nella propria volontà, nel proprio diritto, di cambiare.
Agire in modo assertivo: il terzo passo è mettere in pratica il cambiamento, agendo in modo assertivo. L’assertività è la capacità di esprimere se stessi, le proprie opinioni, le proprie emozioni, le proprie esigenze, in modo chiaro, diretto, rispettoso, senza aggredire o sottomettersi. L’assertività implica anche saper ascoltare, capire, accettare, il punto di vista, il comportamento, gli interessi, degli altri. L’assertività comporta anche saper dire di no, rifiutare, negoziare, risolvere i conflitti, in modo costruttivo, senza subire o imporre. L’assertività comporta infine saper difendersi, proteggersi, valorizzarsi, senza temere o offendere.

Alcuni esempi di assertività
Per rendere più chiaro il concetto di assertività, ecco alcuni esempi di come si può agire in modo assertivo in diverse situazioni:
Se qualcuno ti insulta, ti umilia, ti offende, puoi difenderti dicendo: “Non accetto che tu mi parli così. Trovo il tuo comportamento inappropriato e offensivo. Ti chiedo di smettere o di andartene.”
Se qualcuno ti chiede un favore che non vuoi o non puoi fare, puoi rifiutare dicendo: “Mi dispiace, ma non posso accontentarti. Ho altre priorità, impegni, preferenze. Ti prego di rispettare la mia scelta.”
Se qualcuno ti propone qualcosa che non ti piace o non ti interessa, puoi negoziare dicendo: “Grazie per la tua proposta, ma non mi convince. Preferirei fare altro, diversamente, altrove. Cosa ne pensi?”
Se qualcuno ti fa un complimento, ti ringrazia, ti apprezza, puoi valorizzarti dicendo: “Grazie per il tuo complimento, ringraziamento, apprezzamento. Sono contento/a che ti sia piaciuto/a il mio lavoro, il mio aiuto, il mio contributo. Mi fa piacere ricevere il tuo feedback positivo.”

Come migliorare la propria assertività
L’assertività non è una qualità innata, ma una competenza che si può apprendere, allenare, migliorare. Ci sono dei modi per aumentare la propria assertività, come:
Informarsi: significa acquisire delle conoscenze, delle informazioni, delle competenze, che possano aiutare a capire meglio se stessi, gli altri, le situazioni, le dinamiche, le soluzioni. Informarsi significa anche documentarsi, studiare, leggere, ascoltare, guardare, tutto ciò che possa arricchire la propria cultura, il proprio bagaglio, il proprio punto di vista.
Formarsi: partecipare a dei corsi, dei seminari, dei workshop, dei laboratori, che possano insegnare delle tecniche, dei metodi, degli strumenti, per migliorare la propria comunicazione, la propria relazione, la propria gestione delle emozioni, dei conflitti, dei problemi. Formarsi significa anche esercitarsi, praticare, simulare, sperimentare, tutto ciò che possa consolidare la propria abilità, la propria sicurezza, la propria efficacia.
Consultarsi: chiedere il parere, il consiglio, il sostegno, di persone competenti, esperte, qualificate, che possano offrire una visione, una guida, una supervisione, per affrontare le proprie difficoltà, i propri dubbi, i propri ostacoli. Consultarsi significa anche affidarsi, delegare, collaborare, con persone fidate, disponibili, solidali, che possano fornire una mano, una spalla, una rete, per superare le proprie paure, le proprie resistenze, le proprie limitazioni.

L’assertività è una competenza che si può apprendere, allenare, migliorare.
Ti auguro di trovare la tua assertività, di usarla, di godertela. Ti auguro di difenderti, di rifiutare, di negoziare, di risolvere. Ti auguro di esprimerti, di comunicare, di relazionarti. 
Ti auguro di essere assertivo, di essere libero.